Storia di Ala
LE ORIGINI ED IL SIGNIFICATO DEL NOME
Le origini e i resti più antichi di Ala risultano essere di epoca romana, lo confermano le pietre miliari trovate ai Marani (frazione a nord ) ed a San Pietro, il cippo votivo a Diana ed altri reperti archeologici di vari generi conservati nel museo civico.
La stazione "Ad Palatium" segnata sull'" Itinerarium Antonini" (carta che serviva a questo imperatore per i suoi viaggi) testimoniano che nella zona di Ala c'erano degli insediamenti; le vie di Valbona, della Val di Ronchi e della Valfredda, che conducevano alla pianura veronese, erano costantemente presidiate dall'esercito romano e la stazione "Ad Palatium" prova che già da allora Ala era luogo di sosta e di ristoro per i viaggiatori.
La storia di Ala è abbastanza complessa e varia e può risultare difficoltoso ripercorrere da vicino ogni tappa del suo cammino. E' certo che la sua posizione geografica ha influito notevolmente in ogni sua vicenda storica.
Nel momento in cui si consultano i documenti relativi al periodo più antico della storia di Ala, una prima domanda viene spontanea: Ala apparteneva al territorio veronese oppure a quello trentino?
Alla luce anche di recenti studi e scoperte, si può affermare che Ala dal periodo romano fino al XV secolo è rimasta costantemente legata al mondo veronese, economicamente e politicamente.
Ala si trova infatti nella parte terminale della Vallagarina, in una zona cuscinetto, avente da un lato gli sbocchi delle valli alpine e dall'altro le pianure veronesi e padane: in ogni tempo è stata zona di transito importante, per gli scambi tra Italia e regioni germaniche, per il passaggio di eserciti, di ritirate o campagne d'attacco. E' situata a fianco del fiume Adige, nel passato importante via commerciale ed è spesso stata zona contesa per le sue caratteristiche strategiche militari.
Le prime abitazioni sembrano essere sorte verso il 100 a C. come presidio militare nella parte alta di Ala (Tovo ed Acquedotto) dal console romano Lutario Catullo, che nel 101 inseguì i Cimbri sconfitti attraverso la via Claudia Augusta (attuale valle Lagarina).
Il nome Ala può derivare da alcune supposizioni, alcune supportate e documentate, altre di carattere più leggendario: la prima è che derivi dalla parola Halla (che poi col tempo si trasforma in Hala, Alla, Ala) termine che deriva dal tedesco Hall, cioè magazzino per merci, struttura esistente senz'altro in un luogo di transito e di sosta. La seconda ipotesi (di epoca romana) è che Ala derivi da "ala exercitus ", secondo quanto la tradizione ci ha sempre insegnato. Ed anche questa possibilità è avvalorata dalla sua importante posizione strategica e documentata su antiche carte geografiche: a circa metà strada fra Verona e Trento si trova " ad Palatium ": zona di sosta e presidio romano.
La terza ipotesi è che forse verso il 1000 d.C. il suo territorio, delimitato da Borghetto a Serravalle e comprendente i monti Lessini, è stato chiamato "terra d'Ala"; infatti geograficamente ha la tozza forma di un'ala, così come lo stemma comunale attuale : un'ala argentea in campo azzurro. Pertanto rimangono ancora valide tutte le ipotesi per gli studiosi di storia locale, e non si ha la certezza di quale sia la più plausibile.
L' ALTO MEDIOEVO
Dalla caduta dell'Impero Romano alla data di costituzione del principato vescovile di Trento, la storia di Ala è oscura, non essendoci documenti che testimoniano o che fanno riferimento al borgo o alle località circostanti. AI regno di Odoacre succedono i regni degli Ostrogoti e dei Longobardi, che divisero il territorio in ducati e questi in gastaldie; infine, dopo molte invasioni, i Franchi, con Carlo Magno sostituirono le contee ai ducati e formarono la Marca Tridentina; ma Ala probabilmente non vi rientrava. L'unico fatto, a carattere però leggendario, è che secondo la tradizione, nel 589 sarebbero state celebrate le nozze, nella chiesetta di S. Pietro in Bosco, fra la regina Teodolinda di Baviera ed Autari re dei Longobardi.
Ottone I nel 962 riunì i regni d'Italia e Germania, rifondando il Sacro Romano Impero Germanico e nel 976, lasciando l'Italia a Berengario I del Friuli, aggregò al ducato di Carantania (futura regione della Carinzia) le marche di Verona, Aquileia e Trento. Nel 1027 l'imperatore Corrado II il Salico fece rientrare Verona nell'ambito del regno d'Italia, trattenendo per sè le gole delle Alpi e dandole in custodia al principe vescovo di Trento, suo fedele vassallo; ma Ala, Riva e le Giudicarie restarono in territorio veronese; il confine correva probabilmente alla chiusa di Lagaro (attuale Villa Lagarina).
Scarse sono le notizie di Ala in questo periodo; in un documento del 814 si trova per la prima volta il nome di Ala, il quale stabiliva i confini sui monti Lessini con i possedimenti del Monastero di S. Maria in Organo di Verona.
Dell' 881 è la questione della Villa Asiana, della quale Trento e Verona si contendono la giurisdizione, ma non si sa se la Villa Asiana fosse Ala oppure Villalagarina. Questa contesa conferma comunque che sui confini tra i territori delle due città vi erano dei dubbi.
IL MEDIOEVO
Dal 1027 al 1411 il principe vescovo di Trento mise radici in Vallagarina più di fatto che di diritto. Intorno all'anno 1000 vi fu un risveglio generale, che portò ad una maggiore produzione agricola, ad un aumento demografico ed ad un lento formarsi delle civiltà comunali.
La zona della bassa Vallagarina cominciò ad assumere maggiore importanza, prima durante la lotta per le investiture, ma soprattutto durante le contese fra guelfi e ghibellini: gli imperatori che scendevano in Italia per riaffermare la loro autorità sui comuni guelfi ribelli, trovavano i primi ostacoli nella Vallagarina. La lega veronese guelfa contava fra i suoi adepti pure la famiglia dei Castelbarco, che in questi anni stava estendendo il suo dominio signorile su Ala ed altre comunità rurali della bassa Vallagarina. E' chiaro come sarebbe stato importante per l'imperatore che il principe vescovo di Trento tenesse saldamente in pugno queste terre. Federico Barbarossa aveva molto esteso il potere del Vescovo, ma egli dovette ugualmente lottare molto per imporre il suo potere politico sui feudatari della bassa Vallagarina.
castello dei Castelbarco
Le contese fra il principe vescovo ed i Castelbarco erano continue e fu durante una di queste lotte per il possesso del feudo di Ala che venne distrutto il castello nella seconda metà del XII secolo. Infatti nel 1166 Aldrighetto I di Castelbarco distrusse il castello impadronendosi della "terra d'Ala".
Nel 1204 le guerre fra il principato ed i Castelbarco vennero a cessare e fu stipulata la pace tra Verona e Trento in " Alae in Carrubbio, l'attuale quadrivio di piazzetta Cantore.
Nel corso del XIII secolo Ala risentì di un generale movimento di espansione economica e vi fu un notevole aumento demografico: i suoi abitanti, i "vicini ", erano organizzati in "comunitas" ed aspiravano ad una certa autonomia economica ed amministrativa; si riunivano in " publegum" (assemblea) e nominavano
un loro rappresentante e due funzionari: un "saltaro" e "un waldemanno ", che avevano da amministrare e controllare prati e boschi. Nel 1171 ad Ala viene nominato un " gastaldione" (giudice), Giovanni di Ala, alle dipendenze del principe vescovo di Trento.
La " comunitas Alae" si regolava secondo dei princìpi e delle norme che già dal 1300 vennero trascritti in forma di Statuto o carta di regole. A noi non è pervenuta questa prima stesura scritta, ma altre, redatte dai governi seguenti (Veneziani XV sec. - casa d'Austria XVI secolo).
Al posto del sindaco, degli assessori e dei consiglieri, c'erano il vicario, i massari ed i procuratori, cariche affidate alle famiglie più ricche. L'attuale sede municipale fu costruita nel 1829, dove prima sorgeva la " domus comunis ".
La struttura urbana di Ala risale a questo periodo, con le sue vie strette e tortuose e le piazze irregolari. Come tutte le città medioevali, anche Ala si sviluppò secondo una pianta spontanea, non preordinata, seguendo la conformazione del terreno e le esigenze degli abitanti. La città era a misura d'uomo e la vita ed il lavoro si svolgevano nelle strade e nelle piazze, in forme molto più comunitarie di oggi.
Nella Villalta, dopo la distruzione del castello, il centro del potere era la piazza: qui i "vicini" si incontravano con i rappresentanti del potere feudale e vescovile. La piazza di S. Giovanni, invece, ospitava le riunioni vicinali; qui c'erano la " Ecclesia cum Hospitale (chiesa e ospizio) Sancti Johannis" (nominata per la prima volta nel 1342); i cittadini vi costruirono la " domus comunis ", nominata per la prima volta nel 1333. Già da allora quindi la piazza era il centro politico e religioso della città.
Il Carrubio, altra piazza medioevale importante, era nella parte più bassa della città (ora piazzetta Cantore): questa zona da sempre ha avuto una funzione commerciale e di transito, essendo posta sulla strada principale da Trento a Verona e vicino al ponte sul torrente Ala. L'acqua era l'importante supporto di attività artigianali, agricole e commerciali: si può dire che gli antichi alensi lavoravano qui, nella zona che poi ingrandendosi diventò la "Villa nova" (fine XIV secolo) e abitavano invece nella parte più alta del centro, la ViIlalta, più sicura e riparata da ogni pericolo.
Il nucleo urbano aveva, oltre ad una difesa naturale, rappresentata dal colle di San Martino, dal torrente Ala e dal monte Corno, delle strutture difensive artificiali verso sud: le " bastite ", costruzioni in legno a forma di torre, da cui deriva il nome ancora usato di Bastie, ed una torre, nel recinto delle Bastie, in fondo alla via omonima. Dal 1200 al 1400 Ala è quindi ancora un piccolo borgo e sono anni oscuri e difficili per la popolazione: contrasti territoriali fra le famiglie feudatarie, eserciti che percorrono la valle, nel 1301 viene incendiato l'abitato, nel 1348 una terribile pestilenza che dimezza la popolazione ed, in quanto a legge, vigeva quella del più forte.
Per quanto riguarda il potere del Vescovo nella nostra valle, esso doveva farsi sentire solo in particolari momenti di riorganizzazione e di rinnovo del potere temporale: dopo la parentesi di forza e preponderanza del Vescovo F. Wanga, che riorganizza il territorio, con la creazione dei monasteri di S. Margherita e S. Leonardo e con lo stanziamento di comunità di " roncatori " tedeschi a lui fedeli (Folgaria), il potere vescovile nel corso dei secoli XIII e XIV è spesso in crisi, per le pretese autonomistiche dei cittadini, per le frequenti rivolte dei feudatari, per la preminenza di alcuni vicari imperiali, quali Ezzelino da Romano e dei loro podestà a Trento, per le numerose invasioni del Principato da parte dei signori di Verona, alleati dei Castelbarco. Queste guerre si alternavano a frequenti riappacificazioni tra Catelbarco e Vescovi, che li nominavano loro vassalli e vicari in Vallagarina. Chi si avvantaggiò di questa situazione furono proprio i feudatari locali che estesero il loro dominio fino a comprendere tutta la Vallagarina (primi anni del XIV secolo). Gli attuali confini con la provincia di Verona furono definiti invece nel 1499 "sub porticu Podestariae ".
I VENEZIANI AD ALA (1411 -1509)
L'ultimo erede dei Castelbarco, del ramo di Avio, Ala e Brentonico, lasciò in eredità i suoi feudi alla Repubblica Veneta (1411). Pochi anni dopo i Veneziani occuparono anche Rovereto che per la sua posizione offriva maggiori garanzie di difesa dei nuovi territori.
La prima radicale innovazione portata dal dominio della Serenissima Repubblica di Venezia, destinata a ripercuotersi su Ala in maniera notevole, fu una nuova organizzazione territoriale. Precedentemente le comunità rurali erano autonome, avevano ognuna un proprio territorio ed una vita politica ed economica indipendente, osservavano solo l'autorità del feudatario: ora invece la zona venne suddivisa in Quattro Vicariati (Ala, Avio, Brentonico e Mori; denominazione tramandata per i 300 anni successivi) che a loro volta vennero sottoposti all'autorità del Podestà di Rovereto. Tale centro diventò la capitale della Vallagarina, privilegiato dai Veneziani per interventi edilizi difensivi ed economici. I centri minori, tra cui Ala, non potevano vedere di buon occhio tale nuova situazione e si lamentavano spesso di dover pagare tributi ed offrire prestazioni di lavoro per opere che non servivano direttamente alla loro difesa, ma rientravano in un progetto di amministrazione e fortificazione più vasto, attinente a tutta la valle.
Il governo veneto è passato alla storia come un periodo aureo per la nostra zona. E' certo che i Veneziani, con la loro mentalità cittadina, superarono le vecchie strutture signorili e si fecero promotori di una politica più moderna e meno particolaristica, portando una ventata di novità e sradicando i vecchi legami feudali. Il loro arrivo fu salutato con entusiasmo dagli Alensi che erano orgogliosi di passare da una piccola signoria feudale sotto le ali di una potente Repubblica; essi speravano di conquistare una nuova libertà. I Veneziani concessero subito dei Privilegi, che promettevano una certa autonomia politica, economica e religiosa, ma in pratica tali privilegi vennero sempre calpestati dal Podestà di Rovereto e a poco valevano le ripetute proteste dei cittadini di Ala presso i Dogi, le cui imposizioni non sempre erano ascoltate.
Si deve ricordare che la Vallagarina aveva per i Veneziani una importanza soprattutto strategica e militare, costituendo un baluardo dei domini che essi stavano estendendo sulla terra ferma.
Venezia fu impegnata durante tutto il secolo in lotte continue contro i Visconti, contro gli imperatori tedeschi, contro i feudatari ribelli che volevano riconquistare le loro terre e si appoggiavano al Principe Vescovo di Trento.
Tali lotte portarono pesanti conseguenze sull'economia dei centri rurali, i quali dovevano contribuire con uomini e mezzi al sostentamento degli eserciti.
Basta un dato per avere un'idea di quale fosse la situazione di Ala: la popolazione si era ridotta notevolmente rispetto al periodo medioevale; in un documento del 1479 si dice che la villa era di "fuochi " 62; quindi una popolazione di cittadini "tereri" di circa 500 - 600 persone.
In compenso i documenti del tempo rivelano che era in aumento notevole la classe dei forestieri "foresi"; gli abitanti locali, dediti alle attività tradizionali e sottoposti fino a poco tempo prima ad un regime feudale, non avevano né capitali, né mentalità imprenditoriale; i forestieri, veneti in stragrande maggioranza, si trasferjvano ad Ala, attirati da attività economiche, quali il commercio del legname o per ricoprire cariche pubbliche (vicari).
Verso la metà del secolo vi furono però i primi segni di contrasto e insofferenza fra cittadini e "foresi": la classe rurale infatti, sempre più assottigliata, doveva da sola far fronte a spese crescenti di fortificazioni e contribuzioni. Le ricche famiglie forestiere invece, pure utilizzando beni nelle pertinenze di Ala, non erano sottoposte a tasse comunali e, non interessate al bene del centro rurale, tendevano essenzialmente allo sfruttamento; se accettavano di pagare tasse, era solo in previsione di un godimento più esteso dei beni locali. Alla fine del secolo la comunità rurale, per ottenere l'aiuto finanziario dei <foresi> nel pagamento di tasse ai Veneziani, fu costretta addirittura a vendere i privilegi comunali che aveva tanto gelosamente difeso e custodito, quale unica risorsa esclusiva che era rimasta ai <tererj>.
Quale impronta lasciò questo periodo sul tessuto urbano di Ala?
La Villalta continuò a mantenere la sua caratteristica fisionomia medioevale; la Villanova era destinata invece ad ospitare quella nuova classe di forestieri che importarono qualche novità costruttiva e stili-stica: è in questo secolo che famiglie quali i Taddei, i Malfatti, i Burri costruirono i primi nuclei di quelli che poi diventarono palazzi più importanti.
Le case vennero innalzate nelle piazzette della Villa Nova con elementi architettonici quali il portico e la loggia, destinati da evolversi e fissarsi nell'architettura successiva.
In un documento del 1448 per la prima volta viene nominata la Roggia; essa aveva una funzione importantissima per l'economia di Ala: sul suo corso si trovavano "molini, fosine, foloni" e numerosi prati e orti che venivano irrigati con le sue acque.
L'economia quindi era prevalentemente agro - silvo - pastorale con solo un po' di commercio di legna e cereali, tramite zattere, col territorio veronese. Per opera dei Veneziani viene importato l'allevamento del baco da seta (i primi gelsi furono piantati nella località Caigole) e la coltivazione del granoturco e del tabacco. Ne derivò un certo benessere ed infatti, nei secoli seguenti nacque il detto : "Quando S. Marco comandava, si beveva e si mangiava".
Venezia perse la Vallagarina nel 1509 nella guerra di Cambrai contro l'imperatore Massimiliano I: nel trattato di pace essa cedeva queste terre con la consapevolezza che erano sempre appartenute al territorio veronese.
Da questo momento Ala entrò nell'orbita austriaca e vi restò fino alla prima guerra mondiale.
(1500 - 1700) L'ESPANSIONE ECONOMICA ED URBANISTICA
Il Cinquecento è il primo secolo dell'età moderna e vede evoluzioni profonde nel campo dell'economia, della società, dell'organizzazione politica. Il mondo feudale scompare e lascia il posto ad una società più moderna, nella quale la borghesia ha un ruolo notevole.
Le attività produttive e commerciali si sviluppano sempre più, avvantaggiate da una situazione più solida: i Vicariati infatti durante il '500 stanno in un primo tempo alle dirette dipendenze degli imperatori d'Austria, Ala torna alle dipendenze della famiglia Gresta - Castelbarco e poi in feudo ancora ai principi vescovi di Trento.
Nei primi decenni del nuovo dominio tedesco Ala si riorganizzò, cercando di riprendersi dagli enormi danni subìti durante la guerra di Cambrai.
In questi anni si vive però un periodo di brigantaggio, notizie pervenute per merito del cronista alense padre Gregorio Gattioli.
Furono anni di furti, ricatti, vendette, omicidi causati in parte dall'odio fra famiglie di maggiorenti, ma soprattutto dall'esistenza di bande di briganti sui monti Lessini. L'ignoranza e la superstizione regnavano sovrane. Basta menzionare questi due episodi: una certa Pomera di Ronchi nel 1635, per i suoi cattivi costumi, fu accusata di stregoneria, chiusa nella sacrestia di S. Giovanni, torturata con corda e " foco alli piedi ", fu lasciata morire come un cane. Qualche decennio dopo, una certa Toldina di Pilcante, giudicata dal tribunale malefica, fattucchiera, strega, adultera, infanticida, dopo la prammatica tortura, tradotta a dorso di mulo ed arsa viva in un barile di pece nel Palù di Brentonico alla presenza di gran folla!
DATI DEMOGRAFICI ALL'INIZIO DEL CINQUECENTO
1507 - 60 "voci" presenti a riunione vicinale
1510 - 56 "voci" presenti a riunione vicinale su 74 aventi diritto
1511 - i forestieri sono la terza parte dei cittadini
1535 - 130 cittadini - si tratta sempre di capifamiglia 50 famiglie forestiere
1539 - sulla rubrica dell'Estimo sono segnate 199 famiglie
Verso la metà del secolo gli abitanti di Ala erano 1000/1200.
In seguito anche l'amministrazione locale riacquistò maggior potere politico.
Vari ne furono i motivi: i cittadini forestieri, di fronte ad un cambiamento di potere, in parte lasciarono le loro proprietà e se ne andarono, in parte chiesero spontaneamente di entrare a far parte della cittadinanza. Immediatamente dopo la sconfitta veneta crebbe notevolmente il numero dei "vicini".
La comunità compilò successivi "estimi", elenchi e stime dei beni di ogni famiglia residente, per imporre le tasse proporzionalmente al reddito di ognuno; i forestieri non erano esentati dal pagamento di imposte e così venivano superati i loro privilegi ed i contrasti che ne erano nati con i cittadini.
Parallelamente al ripristino dell'autorità politica comunale, vi fu una ripresa economica, appoggiata soprattutto dai Madruzzo e basata sulla coltivazione del gelso e la filatura della seta. Già alla fine del '500 ad Ala c'erano tre o quattro filatoi e l'attività aveva raggiunto una certa consistenza, tanto che il comune aveva emanato disposizioni igieniche in proposito.
Ma è nel XVII secolo che l'attività si amplia, con l'inizio della tessitura della seta e la fabbricazione dei velluti. Tale attività economica cambiò l'aspetto, anche esteriore, di Ala; attirò molte famiglie da altri luoghi, fu la fortuna economica di molti locali; l'incremento demografico diede impulso ad altre attività collaterali; la società divenne più varia e più ricca di fermenti, anche nell'ambito culturale; l'agricoltura ricevette incremento e venne curata maggiormente, per le accresciute esigenze della popolazione.
La crisi produttiva e commerciale che in questo periodo si era diffusa in tutta l'Italia non interessò Ala, che era anzi avvantaggiata dalla mancata concorrenza; godeva di una posizione privilegiata sui mercati europei per la sua appartenenza ai territori asburgici ed i conseguenti rapporti frequenti con il centro Europa.
Nel 1630 una terribile peste bubbonica mietè ancora numerose vittime fra la popolazione.
Proprio in questo periodo, e precisamente nel 1657, si narra che due profughi genovesi, giunti casualmente nella Vallagarina per evitare il contagio dalla peste, conobbero l'arciprete Alfonso Bonacquisto che propose loro di stabilirsi ad Ala (a fianco l'immagine dello storico incontro) per esercitare la professione di tessitori di velluto, arte nella quale erano abilissimi maestri. Poiché mancavano i necessari attrezzi, alcuni cittadini di Ala si recarono a Genova per procurarseli, sfidando ogni pericolo (viaggi del genere all'epoca erano quasi sempre un'impresa) compreso quello della pena capitale prevista dalla legge per chi esportava l'arte dei velluti. Nel frattempo i due genovesi approntarono le macchine necessarie e, in 2 stanze messe a disposizione da Giovanbrunone Taddei, sorse la prima fabbrica di velluti, che diede poi il via ad un fiorente artigianato e commercio che rese Ala famosa in Europa.
Al Buonacquisto si deve anche la costruzione dell'attuale campanile, l'ampliamento della chiesa arcipretale e la costruzione del primo acquedotto (vedi narrazione nella sezione visita alla città). Incominciò così il periodo di maggior benessere della storia di Ala. Venne ampliata la zona abitata e si costruirono numerosi palazzi a portali con perfette linee architettoniche. Il velluto veniva esportato in Austria, Boemia, Ungheria ed in altri paesi europei. Per questa arte, della quale gli alensi sono ancora fieri, Ala fu proclamata città nel 1765. Il predetto periodo, con alterne vicende, durò fino al 1895 con lo sfacelo totale dovuto a molteplici cause: i dazi doganali, lo spostamento dei confini (il Trentino che dall' Austria passa alla Baviera),la concorrenza, la mancanza di capitali per il rimodernamento degli impianti e la forza motrice, la malattia del baco da seta, ma soprattutto per scarsa lungimiranza ed antiquata capacità dell'imprenditoria locale.
L'arte serica di Ala raggiunse il suo vertice nel 1827 e questi dati sono più che significativi: 33 fabbricanti, 205 tessitori, 170 garzoni, 3600 pezze di velluto annue e 500.000 libbre di seta pregiata! Con la lavorazione dei bozzoli, i filatoi, le tintorie ed i trasporti erano occupate 1200 famiglie (in parte di Avio e di Pilcante).
Il centro storico odierno risale prevalentemente a questo periodo: sull'antico impianto medioevale, si innestano tra il XVII e XVIII secolo interventi emergenti rispetto al tessuto urbano preesistente, per dimensioni e livello artistico; interi nuovi quartieri nacquero a coronamento del nucleo antico, per accogliere l'accresciuta popolazione e le nuove attività produttive. Le famiglie più ricche ampliarono le loro case e le abbellirono con portali imponenti, porticati interni, loggiati, scaloni, poggioli barocchi, contorni in pietra lavorata alle finestre; ancora adesso i palazzi Pizzini, Malfatti - Angelini, Gresta - Malfatti di Piazza S. Giovanni, Taddei in Via Nuova, Gresta in Via Carrera, colpiscono per la loro imponenza, ora per la grazia architettonica, ora per le armonie e la pace di certi cortili interni.
Anche le famiglie meno ricche ed importanti contribuirono a creare un ambiente più dignitoso e piacevole, migliorando esteticamente e funzionalmente le loro case. Le stesse esigenze lavorative contribuirono a mutare i caratteri costruttivi: l'allevamento del baco da seta rendeva necessario l'ampliamento e l'innalzamento delle case, come ci racconta padre Gattioli, cronista della prima metà del XVII secolo.
La presenza in molte case dei telai per la tessitura delle stoffe e dei velluti esigeva spazio e luce. Gli edifici artigianali vennero a collocarsi tutti nella contrada dell'Acqua o della Roggia, lungo la direttrice del corso d'acqua artificiale, struttura che assume in questo periodo un'importanza ancora maggiore e praticamente determinante per la vita economica di Ala. Sorsero altri filatoi, oltre a quelli già esistenti alla fine del Cinquecento, che dovevano essere più a monte (dietro il mulino Tomasi - Poli, nella zona "sotto il Sentarolo"). A metà del secolo v'erano sette filatoi, due o tre tintorie, una "garberia" (dove ora c'è la casa al "limbo") cioè una conceria di pellame.
I filatoi vennero per lo più ristrutturati nel corso del XIX secolo e nei primi anni del 1900: ce ne rimane ora solo una piccola testimonianza diretta: si tratta della prima casa sulla sinistra in Via M. Soini; ai piani superiori l'edificio non è stato ristrutturato e presenta le finestre caratteristiche dell'antico filatoio, piccole e di forma quadrata, e i piani molto bassi.
Altre case, un tempo filatoi e poi ristrutturate, sono le odierne case Cutrì e Tognotti in Via Teatro, l'Albergo Passo Buole e le case ai Folloni.
Nel corso del XVII sec. Ala si estese soprattutto verso lo "Spiazzo" ad ovest delle Bastie; le contrade "Gattioli", "ala crosera" e "Casai" collegavano così il centro più antico con la nuova chiesa dei Padri Cappuccini, sorta nello "Spiazzo" tra il 1608 e il 1610, che fungeva da nuovo polo di attrazione dello sviluppo urbano. Tutto il quartiere Berti, tra la Roggia e Via VelIutai, venne ricostruito dopo la peste del 1630 e lungo la via Nuova si intensificano le costruzioni.
Proprio in occasione della peste vennero diramate diverse disposizioni igieniche e vennero spesso nominate nei documenti le porte di Ala, che dovevano avere la funzione di tenere lontano dalla città chiunque potesse portare il contagio: veniamo così a conoscenza della esistenza della Porta di S. Colombano, sul Sentarolo, della Porta di S. Caterina, della Porta Rozza, in fondo alla contrada dei Ferrari (dove ora sorge la Cassa Rurale), della Porta dell'Acqua, adiacente alla chiesetta di S. Giovannino, della Porta da Pedemonte, nominata già nel XV secolo in Via Zigatteria e della Porta Italia sullo " Spiazzo ".
Non solo i privati contribuirono a dare un nuovo aspetto alla cittadina: il comune ristrutturò la sala per le riunioni; la chiesa di S. Maria fu completamente ricostruita ed al suo fianco sorsero il campanile, ad opera del comacino Domenico Bianchi, e la nuova canonica (fine dei lavori nel 1670). La chiesa di S. Giovanni fu restaurata a metà del Settecento ed abbellita internamente con pale ed arredi.
Nel 1740 era pressoché ultimata la chiesetta di S. Giovannino e per rendere migliore l'ingresso in città da questo lato, il comune ricostruì il ponte sul torrente Ala, sostituendo alla vecchia costruzione in legno una in pietra (1659). Le fornaci che rifornivano i materiali da costruzione erano situate al di là del ponte (Via Fornaci e Via S. Martino).
Nel corso del Settecento le strade principali vennero acciottolate e spesso vennero rinnovati i ponti sulla Roggia "Pontiello" presso l'odierno Caffè Commercio; vi era una cura particolare per l'uso ed il mantenimento di questo manufatto, documentata da vari provvedimenti di carattere igienico, oltre che restaurativo.
L'acqua potabile, che fino ad ora veniva attinta nella parte più a monte del corso d'acqua, venne in questo periodo portata all'interno del paese con le fontane della Canonica, di Villalta, Piazza S. Giovanni e Via Torre; più tardi vennero rifornite anche la Villanova, con la fontana del Mosè (1761) e quella di Piazzetta Taddei (fine '700). Per il convento dei Padri Cappuccini esisteva un acquedotto che partiva dal mulino Poli (ora Leonardi) ed attraversava tutto il centro.
L'ARTE DEI VELLUTARI
I lavoratori del settore costituirono tra di loro successive forme di associazioni con lo scopo di proteggersi dalla concorrenza, di accordarsi sui costi del lavoro e sui prezzi di vendita, per la tutela del lavoro ed una primitiva forma di sostegno ed aiuto a coloro che per un motivo o per l'altro non potevano più esercitare la professione.
La prima organizzazione del genere venne costituita nel 1687, col nome di "Arte dei Tessitori" e con uno Statuto di 9 capitoli: si trattava di un'associazione a carattere religioso, una specie di Pia Confraternita tra dirigenti e lavoratori, con l'accordo di innalzare un altare a S. Lucia, nella chiesa di S. Maria.
Aderivano all' "Arte" 50 tessitori che lavoravano per 7 padroni diversi. Nei primi anni del Settecento l'accordo fra "Artieri" e "Fabbricatori" si ruppe e vari documenti e proclami testimoniano, da una parte la volontà di legare gli "Artieri" al loro datore di lavoro e il divieto espresso di abbandonarlo per cercare un nuovo impiego, dall'altra l'affermazione della propria libertà di scelta e la richiesta di più alti compensi. Nella controversia fra "Artieri" e "Fabbricanti" intervenne anche il Consiglio Civico, per determinare il "limite equo delle mercedi" alla tessitura dei vari tipi di velluti ed agli altri lavori attinenti.
Nel 1747 ad Ala c'erano 15 fabbricatori e 171 tra lavoranti e garzoni. Nel 1757 G. Garavetta fondò una nuova società tra commercianti della seta e dei velluti, per regolare con norme generali la produzione, la qualità, i prezzi: il "Negozio Patrizi e Compagni" si incaricava di comperare tutti i velluti dei soci aderenti e di venderli direttamente, controllava l'addestramento dei garzoni e stabiliva quali attrezzi dovevano essere usati; vi aderirono 20 fabbricanti di Ala con 131 telai ed altri di Avio e del Vo'.
Nel 1765 si fondò anche l'" Arte dei Velludari ", con 33 fabbricanti, 209 vellutai e 170 garzoni: in questo anno venne steso un regolare "Statuto dell'Arte" con 30 capitoli; organi direttivi erano tre deputazioni, della città, dei Marcadanti e degli Artisti. Era istituita una Cassa dell'Arte per provvedere agli Artisti vecchi e deboli. Ma nella seconda metà del Settecento iniziarono le difficoltà per l'industria alense: le cause erano diverse: nel 1762 Giuseppe II introdusse nuovi provvedimenti protezionistici, escludendo Ala, feudo del principe Vescovo di Trento, dalla linea doganale austriaca, il dazio per i prodotti alensi raddoppiò e ne venne in parte impedito il commercio con il Nord. A questo si aggiunga che i metodi e le tecniche di produzione erano vecchi e non più in concorrenza con le fabbriche dei paesi del Nord, dove si stava avviando la rivoluzione industriale. Infine ad aggravare ulteriormente la situazione, dal 1764 in poi iniziò a diffondersi una malattia del gelso.
Nel 1772 i fabbricanti erano ridotti da 33 a 13, molti artisti emigrarono per cercare lavoro, soprattutto verso Vienna; molte famiglie ricche andarono in rovina e la disoccupazione divenne imponente (tre quarti della popolazione senza lavoro).
Una breve ripresa si registrò dal 1783, anno in cui Giuseppe II acconsentì a ridurre il dazio, fino al termine del secolo, quando la guerra tra Francia ed Austria fece nuovamente segnare il passo.
Anche l'Amministrazione Comunale dimostrò in questo periodo vitalità ed intraprendenza: appare spesso nei documenti quale intermediaria nelle contese fra fabbricanti ed artisti, cercò di adeguare il centro urbano alle nuove esigenze ed alla nuova dignità, fondò un Ginnasio e il Santo Monte di Pietà, intervenne nei momenti di crisi dell'industria, emanò varie disposizioni di ordine pubblico e di carattere igienico riguardanti l'allevamento dei bachi, l'uso della Roggia, la mantutenzione di strade e altre opere pubbliche; nel 1788 venne pure fondato l'Ospedale, situato nella parte più alta del Tovo.
L’ OTTOCENTO
Il secolo iniziò con una ventata di innovazioni che lasciarono il segno in numerosi settori della vita pubblica, ma anche nella coscienza di ogni cittadino. Finita ormai l’epoca dei privilegi e delle antiche autonomie locali, iniziarono in questo periodo le prime istanze autonomiste e irredentiste dei trentini, scarsamente rappresentati all'interno dell'allora governo di Innsbruck, capitale della provincia del Tirolo, e sottoposti invece ad una pesante e sproporzionata pressione fiscale. Già a partire dalla metà del secolo XVIII molti intellettuali trentini si erano espressi a favore dell’annessione del Trentino all’Italia; la stessa richiesta venne ripetuta nel 1801 dall’aviense Antonio Turrini, che chiese a Napoleone l’annessione della Val Lagarina alle terre venete.
Il Trentino subì nei primi anni dell’Ottocento trasformazioni epocali, che ne cambiarono completamente le prospettive: fu conquistato dai Francesi una prima volta nel 1796, una seconda volta nel 1797, una terza nel 1801; nel 1802 vide la fine del centenario principato-vescovile di Trento; nel 1803 fu occupato dagli Austriaci e considerato parte della contea del Tirolo; nel 1805 fu annesso al nuovo regno di Baviera, che si era schierato dalla parte di Napoleone. Il governo bavarese introdusse innovazioni che, se da un lato urtarono la sensibilità dei locali, dall'altro instillarono nuovi fermenti libertari e tendenze modernizzatrici, che avranno poi modo di manifestarsi nel corso dell'Ottocento, sia nei confronti del governo asburgico, sia nell'ambito delle varie amministrazioni locali. Nel 1809 una nuova guerra scoppiata tra Francia e Austria, che aveva attaccato la Baviera, ed una nuova coscrizione obbligatoria provocarono l'insurrezione generale; Trentini e Tirolesi si ribellarono contro il governo bavarese, affermando la propria autonomia. Alla fine di questa guerra, nel 1810, il Tirolo meridionale, nel quale erano inclusi i Vicariati, venne ceduto a Napoleone e aggregato al Regno Italico. La soppressione dei confini verso sud ebbe positive conseguenze per i rapporti commerciali e culturali con l’Italia e rafforzò il sentimento di appartenenza italiana.
Napoleone Bonaparte pernottò ad Ala il 3 settembre 1796 a Palazzo Pizzini, durante la campagna contro gli Austriaci.
In quell'occasione, Ala fu la prima città del Trentino ad avere una "municipalità repubblicana". Nel medesimo giorno, attraverso la Val Bona, scende la divisione del Generale Augerau, forte di seimila uomini, entra in Ala al suono della Banda accampandosi in località Giaro; il giorno seguente abbattuta la Porta della città vicino al torrente Ala l'armata prosegue in rinforzo alle truppe del futuro Imperatore partecipando alla battaglia di Rovereto.
Nel 1814 il Trentino passò nuovamente agli Austriaci: iniziò così il periodo della restaurazione, che costituì per le nostre zone una fase abbastanza tranquilla, nonostante la politica repressiva e contraria al principio di nazionalità del governo austriaco; solo poche persone colte si occupavano della questione nazionale e la gran maggioranza della popolazione aveva voglia di pace, dopo tante guerre. La valle dell’Adige, del resto, unica via di rifornimento e rinforzo delle truppe austriache stanziate nei possedimenti italiani del Lombardo Veneto, era molto ben controllata e scarse erano le possibilità di ribellione e di moti carbonari. Il Trentino venne organizzato amministrativamente in due Circoli (di Trento e di Rovereto), retti da un capitano circolare dipendente direttamente dalla capitale della provincia del Tirolo, Innsbruck; i Circoli erano divisi in Giudizi Distrettuali; il Circolo di Rovereto ne comprendeva 14, tra cui quello di Ala, che aveva giurisdizione sulla Valle Lagarina.
Nei primi anni del secolo i nuovi governi introdussero numerosi provvedimenti innovativi. La riforma amministrativa portò alla separazione del potere giudiziario da quello politico (1807 - Nuovo regolamento giudiziario) e i nuovi vicari non presiedettero più la comunità, a capo della quale vennero eletti invece dei "Presidi", gli attuali sindaci.
Tra i numerosi provvedimenti innovativi ricordiamo in particolare la coscrizione obbligatoria, la vaccinazione antivaiolosa, l'abrogazione delle "regole" e delle autonomie locali, la soppressione dei conventi e delle congregazioni religiose, l'eliminazione dei privilegi e l’abolizione nel 1810 della signoria feudale dei quattro Vicariati.
Nella prima metà del secolo, la Vallagarina godette di un periodo tranquillo e di una consistente ripresa economica; con l'annessione del Trentino al Regno d'Italia dal 1810 al 1813, della Lombardia e del Veneto all’Impero nel 1814, essa si trovava ad essere nuovamente una terra di passaggio e di collegamento con la pianura; vennero in questo periodo costruite nuove strade provinciali, una rete per lo più militare che facilitava i contatti con le città italiane del nord.
Anche il settore della seta e le industrie di velluti di Ala registrarono una netta ripresa, dopo il lungo periodo di crisi tra gli ultimi decenni del '700 e i primissimi anni dell'800, raggiungendo già nel 1814 i livelli dell'anno 1765.
L'unione con il napoleonico Regno d'Italia fu determinante: la nuova fabbrica Debiasi, ad esempio, lavorava velluto bianco detto alla "reine" per il Vicerè; la tradizione racconta che per conservarne la candidezza, i telai venivano foderati di carta e il tessitore si lavava spesso le mani nell'acqua di crusca. Anche con il ritorno, nel 1814, sotto il governo austriaco lo sviluppo continuò per le facilitazioni nel commercio concesse ai velluti di Ala. I nuovi imprenditori introdussero innovazioni, lavorando con sete più sottili, producendo velluti operati e jacquard; alcune ditte, come quella dei Bracchetti e quella dei Malfatti, raggiunsero dimensioni notevoli, concentrando i telai in appositi stabilimenti.
Ad Ala erano attive a metà secolo 200 caldaie per la trattura della seta, che impiegavano 450 persone e producevano 20.000 libbre di seta. In tutto il distretto giudiziale che comprendeva Ala, Avio, Borghetto, Ronchi, Serravalle, Chizzola, Pilcante vi erano 321 caldaie con 720 lavoranti ed una produzione di 31.435 libbre di seta. I filatoi, per la filatura e torcitura del filo, erano ancora otto e rimasero in funzione fino agli ultimi anni del secolo.
La maggiore concentrazione di opifici era ad Ala; nel 1860 le filande erano sette ad Avio e due a Vò Sinistro: erano tutte manuali, senza alcun sistema meccanico. La manodopera era prevalentemente femminile; erano infatti solo cinque gli uomini occupati nel settore, contro 244 donne e 33 ragazze. La più grossa filanda era quella di proprietà dei Libera, che da sola produceva 1000 libbre di seta; la seconda per produzione era quella dei Leonardi a Vò, la cui produzione ammontava a 250 libbre annue.
Nel 1859 e successivamente nel 1866, quando la Lombardia e il Veneto furono annessi al regno d'Italia, iniziò un periodo di profonda crisi e poi di trasformazione economica. Il settore della seta e dei velluti subì un calo improvviso; ebbe una nuova breve ripresa fino agli anni '80 ed infine una profonda crisi lo ridusse drasticamente. La scadente qualità dei gelseti locali, la concorrenza delle sete orientali e della produzione francese, gli alti costi del lavoro, aggravati dalla legislazione sociale austriaca particolarmente esigente, che stabiliva previdenze a favore degli operai e limiti precisi nell'orario di lavoro, furono tutti elementi che concorsero alla crisi. A proposito dell'avanzata legislazione sociale è senz'altro da ricordare che ad Ala nel 1843 e ad Avio nel 1879 sorsero le prime Società di Mutuo Soccorso per tessitori e artigiani, uno dei primi esempi di associazione a scopo essenzialmente assistenziale.
Lo stesso andamento si potè notare in altri settori economici: nella prima metà del secolo, la produzione agricola era piuttosto scarsa, ma era facile approvvigionarsi nella vicina pianura veneta; la viticoltura era destinata per lo più al consumo interno; la coltura del gelso era molto estesa ed anche il bosco e il commercio del legname costituivano una ricchezza fondamentale. Il commercio di transito era vivace e consistente. Vi erano altre attività importanti fino alla metà del secolo: la concia delle pelli, per la quale veniva utilizzata l'erba sommaco, che si trovava abbondante nei nostri boschi e veniva macinata nei "pistini" ad acqua; la produzione e la lavorazione del tabacco, l'esportazione della seta (da Ala 50.000 libbre di bozzoli e 2520 pezze di velluto all'anno) e del legname (da Ala "5000 carra ogni anno"). Negli anni settanta il nuovo dazio sull'importazione dei cereali veneti rese evidente che l’agricoltura aveva bisogno di tecniche più moderne e razionali, per aumentare la produzione. Furono istituite in questo periodo le Società Agrarie e il Consiglio provinciale di agricoltura, con compiti di informazione, istruzione dei contadini, miglioramento delle tecniche e della produzione. Intorno agli anni '80, la malattia della vite, quella del baco da seta, la tremenda inondazione del 1882 misero in ginocchio tutto il sistema economico del tempo; fu in questo periodo che il fenomeno dell'emigrazione, fino a quel momento di tipo stagionale, divenne permanente.
Solo nell'ultimo decennio del secolo iniziò una nuova fase di espansione in campo agricolo e industriale. Alla crisi delle attività tradizionali corrispose la crescita di nuovi settori, come l'industria enologica, la produzione della birra, la lavorazione del latte, la nascita dell'industria idroelettrica, l'edilizia; nacquero nuove strutture commerciali e finanziarie. L'organizzazione bancaria locale permise una certa autonomia finanziaria e un miglioramento della situazione economica. Fondamentale per questa ripresa fu la nascita della cooperazione, che irruppe nella vita economica dei nostri centri con una ventata di rinnovamento.
Anche ad Ala ed Avio sorsero tra fine '800 e primi '900 diverse iniziative: già nel 1843 si era formata la Società di mutuo soccorso, nel 1868 il Consorzio d'irrigazione dei Baitani di Ala, nel 1891 la Cooperativa di consumo tra gli impiegati ed agenti austriaci ed italiani, nel 1895 la Società di Mutua Assicurazione del bestiame bovino di Ala, nel 1897 la Cassa Rurale di Avio, nel 1898 nacque la Cassa di Risparmio e Prestiti per Ala, Pilcante e Ronchi. Vi erano poi altre associazioni, sia in ambito agricolo, come la sezione del Consorzio Agrario trentino e l'Associazione vinicola e viticola, sia in campo politico-culturale, come la filoaustriaca Società dei Veterani Arciduca Alberto, il Circolo Sociale di Lettura, la Società proprietaria del teatro, costruito a metà secolo.
Rispetto al panorama generale di crisi del Trentino, la nostra zona presentava però alcuni aspetti peculiari che mitigarono le conseguenze negative delle guerre d’indipendenza italiane. La costruzione della ferrovia tra gli anni 1859/66 si dimostrò un elemento che mutò radicalmente sia il sistema dei trasporti, sia la struttura economica complessiva, dando impulso al turismo, al commercio e al terziario.
In particolare Ala, divenuta sede della stazione ferroviaria internazionale, sembrava costituire un’eccezione nella Vallagarina; tutti i treni austriaci e italiani vi facevano sosta; passeggeri e merci erano sottoposti a controlli e formalità di tipo doganale, sanitario, veterinario, fiscale e alle operazioni di rispedizione a cura delle amministrazioni ferroviarie dei due paesi. La stazione era molto estesa: dalla zona di San Pietro in Bosco alla attuale Sottostazione Elettrica presso Pilcante era tutto un susseguirsi di grandi piazzali per i binari e gli scambi, depositi per locomotive, officine, cataste di carbone, fabbricati di servizi per i viaggiatori, magazzini di merci, posti di gendarmeria italiani e austriaci; presso la stazione c'erano le case di spedizione e gli alberghi, in centro negozi e attività artigianali di ogni tipo.
La popolazione del Trentino ebbe nella prima metà dell’Ottocento un moderato incremento, nonostante alcune epidemie di vaiolo e di colera, che fecero molte vittime. Nella seconda metà del secolo, dopo un periodo di lenta crescita, il fenomeno dell’emigrazione provocò un calo della popolazione, soprattutto nelle zone rurali e montane. La crisi demografica si acuì negli anni '80, con le inondazioni dell'Adige e il momento più grave della depressione economica: negli anni dal 1870 al 1887 23.846 trentini, soprattutto contadini, emigrarono in cerca di lavoro e di una vita migliore. La costruzione della ferrovia fu invece un fattore decisivo per l'aumento della popolazione nella seconda metà dell'800 nella zona di Ala; dopo il periodo di stasi per la crisi della produzione di velluti serici, essa subì un'impennata decisa per l'arrivo di molti forestieri, finanzieri e funzionari, italiani e austriaci, commercianti. La cittadina ferveva di vita e attività.
In generale nel corso dell'Ottocento, nonostante l'andamento irregolare delle attività economiche, fu posta particolare attenzione al territorio, sia da parte del governo centrale, sia da parte delle amministrazioni comunali: il sistema viario, sia a livello cittadino, sia a livello extraurbano, fu migliorato e reso più funzionale; si diffuse una maggiore attenzione per l'aspetto dei centri e gli interventi urbanistici; ci fu una maggiore cura dell'igiene, che si riflesse in particolare in campo idraulico, con la costruzione di acquedotti e fontane che rifornivano i centri abitati in modo più continuo e abbondante.
Ala in particolare stava diventando sempre più importante, quale nodo ferroviario internazionale e sede delle dogane italiana e austriaca. Molti impiegati, attirati dalle nuove strutture, ebbero grande difficoltà a trovare un alloggio nel centro, nonostante la ristrutturazione e trasformazione in appartamenti di molti edifici adibiti precedentemente all'industria serica. Furono anche fabbricate alcune case in periferia, cosa resa possibile dalla costruzione di un nuovo serbatoio d'acqua, ma le contrade più antiche del centro storico rimasero molto sovraffollate. Il benessere economico contribuì tra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX al nascere di una ricca borghesia, che fece costruire parecchie ville signorili e alberghi. Anche l'edilizia artigianale registrò un notevole incremento in questo periodo: parecchi magazzini vennero costruiti nella periferia di Ala e due fornaci ai Baitani. La carenza di alloggi rimase una costante di questo periodo e fu accompagnata da un aumento del loro valore; il prezzo di una casa dei quartieri signorili dal 1867 al 1880 era addirittura raddoppiato. Nel 1909 venne emanata una legge che prevedeva mutui a favore di consorzi per case popolari, ma essa non contribuì a rimuovere il ristagno edilizio della città.
Maggiori attenzioni erano riservate all'aspetto esteriore delle case e alle strade, che dovevano sopportare una quantità sempre maggiore di traffico. Mentre nelle epoche precedenti la strada era stata luogo di incontro e di vita quotidiana, con l'introduzione dei nuovi mezzi di trasporto e l'intensificarsi delle comunicazioni, era considerata ora solamente luogo di passaggio: le facciate delle case dovevano quindi essenzialmente fungere da quinte e colpire favorevolmente il passante. I criteri a cui l'edilizia pubblica e privata doveva uniformarsi erano quelli della "simmetria", della "classicità", del "decoro" e della "pulizia"; venne istituita una Commissione d'Ornato, con compiti di controllo e proposta in ambito edilizio.
Le strade principali furono oggetto di particolari cure ed attenzioni e vennero provviste di "trottatoie", due file di lastroni di granito posti al centro delle strade acciottolate, per rendere più comodo il percorrerle. Un "regolamento di polizia stradale" stabiliva che bisognava "togliere di mano in mano l'inconveniente delle gronde" che gettavano "l'acqua piovana apertamente sulla strada". Tra gli anni 1840 e 1844, vennero effettuati parecchi lavori di arretramento delle facciate delle case prospicienti la via Nuova ad Ala, rendendo così più veloce e agevole il transito del mezzi di trasporto. La costruzione della ferrovia (1856/66) impresse un ritmo diverso alla vita cittadina ed una nuova direzione allo sviluppo urbano. Iniziarono ad assumere nuova importanza le vie di collegamento tra stazione ferroviaria e centro abitato, che si diramavano dalla Bocca d'Ala (inizio attuale via Malfatti) e dallo Spiazzo, ora piazza Giovanni XXIII, che assurse a nuova dignità quando, nel 1837, venne spianato e trasformato in parco; nel 1863 vi furono piantati i platani "onde armonizzare il pubblico passeggio"; nel 1869 vi vennero anche installati dei fanali, "per illuminare il passeggio in estate". La "strada sotto l'Orbia" (ora Viale 4 Novembre) iniziò ad essere considerata parte integrante del centro urbano ("di pertinenza della nostra città stessa") e venne da allora sottoposta alle prescrizioni edilizie e di ornato. Il problema dell'acqua potabile con erogazione continua fu risolto nella seconda metà del secolo con la costruzione del nuovo acquedotto (progetti del 1841/1848). I vecchi tubi di legno, che conducevano in città l'acqua potabile dell'Altarello e del torrente Ala, vennero sostituiti con tubi in pietra e la potabilità dell'acqua venne assicurata con vasche di decantazione.
Molte cose cambiarono in funzione del traffico e naturalmente i mutamenti interessarono i percorsi e gli spazi più usati: la "Contrada Via Nuova" (1822), poi Via Nuova (1870), la Piazzetta dei Caffè o del Mosè, lo Spiazzo dei Cappuccini. " lavoro principale infatti fu l'allargamento e il raddrizzamento della strada postale o erariale (Via Nuova), lungo la quale vennero abbattute case sporgenti, rifatti poggioli secondo il nuovo stile, cambiate le porte ad arco con "botteghe all'italiana ", tutto in funzione delle esigenze del traffico e delle nuove attività commerciali. Altri lavori furono lo spianamento e la " squadratura" della piazza di S. Giovanni, con l'arretramento di molte case prospicienti e la demolizione dell'antica sala comunale (1829).
L'antico " spiazzo del Comun ", lembo più meridionale delle Bastie, venne sistemato in questo periodo e d'ora in poi si chiamerà " passeggio pubblico ", comprendendo con questo nome anche l'attuale Viale 4 Novembre; per "amenizzarlo" vi vennero piantati i platani, vi si tracciarono i passaggi stradali principali, vi si collocarono dei "fanali" per l'illuminazione. Dal 1844, data in cui venne qui costruito l'Ospedale, la piazza assunse una nuova importanza; dopo la costruzione della ferrovia, di qui passavano le carrozze che la collegavano con il centro urbano.
Anche i centri di Avio e Sabbionara, pur non avendo le caratteristiche urbane della vicina Ala, assunsero un aspetto più curato e decoroso; alcuni lavori rientravano nella prevenzione di eventi epidemici, che si erano verificati in vari anni della prima metà del secolo. Si curò la distribuzione più capillare e più igienica dell'acqua; i lavori tardarono ad essere realizzati, anche perché il Giudizio Distrettuale di Ala negava il permesso dicendo che il Comune doveva ancora pagare un debito di 40.000 fiorini. Si costruì una cisterna chiusa "al principio della Valle del Castello" dove c'era la sorgente che riforniva le fontane di Sabbionara e furono rinnovati i tubi. Si restaurarono alcune antiche fontane e se ne costruirono di nuove: in tutto ad Avio erano nove ed a Sabbionara cinque, tra cui quelle di Foss, della Via di mezzo, di piazza Campostrino. Vennero costruite due lavarine, che permettevano una più comoda lavatura dei panni, fino ad allora effettuata lungo i corsi d'acqua. L'aspetto della piazza del Campostrino (da "strinare" vagliare il grano) a Sabbionara si trasformò nel corso dell'800, con la costruzione negli anni 1835-1845, vicino a quella antica, della nuova chiesa di S. Bernardino. La piazza, che era sempre stata una zona di campagna periferica, si poteva considerare ormai facente parte del nucleo abitato; nel 1854 un'ordinanza municipale vi vietava lo scarico di materiale.
Un punto del territorio particolarmente importante era il "porto" del Vo', dove un traghetto collegava le due sponde dell'Adige. Il porto e il fiume assumevano importanza strategica soprattutto nei periodi di guerra ed erano sottoposti a stretto controllo; nonostante la sorveglianza di una forza armata formata da quattri "villici", il porto venne bruciato dai Francesi in una delle loro spedizioni; nel 1810 un certo Turrini, traghettatore al Vò - "portener" - ne chiese il ripristino; il primo ponte in legno tra i due Vò fu costruito nel 1874; fino a quell'anno c'era sempre stato solo il traghetto che collegava le due sponde spostandosi con la corda ("regen").
Nel corso dell'800 si cercò anche di irregimentare in modo definitivo le acque dell'Adige (1855/56), per permettere la costruzione della ferrovia. Ma il fiume non era ancora definitivamente domato; nel 1868 vi fu una grande piena e poi nel 1882 la disastrosa inondazione, che provocò tanti danni in tutto il Trentino. In quella occasione l'acqua arrivò sopra al "capitel da le quatro faze", tra Vò Destro e Sabbionara, fino alle "pontere sotto il Campostrino" e distrusse pure il ponte. Venne allora temporaneamente ripristinato il traghetto, fino a che nel 1885, l'ingegner Schenk presentò un progetto per un nuovo ponte in ferro, che venne costruito con una sola pila centrale e una pavimentazione in legno di larice; vi potevano transitare mezzi da due tonnellate.
Questo quadro ottocentesco alense rimase inalterato anche nei primi anni del Novecento, prima dello scoppio della grande guerra. Da un lato proseguirono le attività tradizionali di Ala, dall'altro si potenziarono le strutture ricettive e commerciali; mentre la classe popolare locale e la piccola borghesia forestiera sentivano crescenti le carenze di alloggi, il sovraffollamento, le difficili condizioni igieniche, la ristretta cerchia della borghesia più ricca viveva agiatamente nei palazzi antichi del centro o nelle nuove ville periferiche; l'amministrazione pubblica, dal canto suo, era più attenta alle esigenze formali che alle necessità profonde di tutti i cittadini.
IL NOVECENTO
Tra fine '800 e inizi '900 all'interno della provincia del Tirolo si inasprì il conflitto tra la popolazione di lingua italiana e quella di lingua tedesca e si verificarono episodi di intolleranza e violenza; furono germanizzati i toponimi italiani, venne fondata un'associazione estremista tirolese e si verificò a Innsbruck l'assalto armato contro alcuni studenti italiani. La campagna autonomistica e irredentista degli italiani si accentuò, mentre il Trentino tendeva ad organizzarsi in forme sempre più autonome, sotto la spinta degli ideali cooperativistici.
Mentre il panorama trentino in questi primi anni del '900 era caratterizzato da povertà e crisi generale, nella Vallagarina la situazione era meno grave, soprattutto per la presenza ad Ala della dogana internazionale. Il fenomeno dell'emigrazione, molto consistente in altre zone, qui era abbastanza contenuto. Secondo i dati dell'Ufficio per la mediazione del lavoro erano comunque 1500 all'anno gli emigranti dal distretto giudiziario di Ala. Le amministrazioni locali cercavano di migliorare la situazione e di qualificare la manodopera contadina e artigiana, organizzando corsi di informazione e di addestramento in vari settori. Continuarono a sorgere in questo periodo importanti strutture pubbliche o cooperative che testimoniano una certa vivacità economica e culturale: la Famiglia Cooperativa di Pilcante, fondata nel 1905, quella di Ala del 1912; la Mutua Bovini ed Equini ad Avio del1907; la Famiglia Cooperativa di Avio, nata nel 1902, che ampliò il proprio campo d'azione con l'acquisto di palazzo Venturi, la costruzione di magazzini e tettoie, l'avviamento di un forno, della farmacia comunale e del consorzio bozzoli. Furono pure aperti diversi Caseifici sociali.
La situazione politica europea si faceva intanto sempre più tesa. Gli Austriaci costruivano fortificazioni presso il confine con l'Italia. Essi dichiararono guerra alla Serbia il 28 luglio 1914. Il 31 avvenne la mobilitazione generale e la leva in massa di tutti gli uomini tra i 20 e i 42 anni, che furono mandati sui fronti della Galizia e della Serbia. In quel primo anno di guerra, mentre migliaia di trentini combattevano sul fronte russo, venne sostenuta da parte degli irredentisti una accesa campagna interventista. Si svolsero nel corso del primo anno di guerra delle trattative tra Italia e Austria per la cessione del Trentino, senza giungere però ad un risultato definitivo. Tra fine aprile e inizio maggio 1915 l'Italia si legò all'Intesa (Inghilterra, Francia, Russia) con il Patto di Londra e si ritirò dalla Triplice Alleanza (Austria-Ungheria, Germania, Italia).
Nei giorni immediatamente precedenti la dichiarazione di guerra da parte dell'Italia, le autorità militari austriache instaurarono un rigoroso servizio di vigilanza in tutti i centri della nostra valle; le pattuglie giravano per le strade di giorno e di notte e il 20 e 21 maggio i gendarmi arrestarono dei sospetti di irredentismo. Ad Ala furono fermati Azzolini Ugo, Bracchetti Enrico, Chini Antonio, Costa Giovanni, Dalla Laita Luigi, Debiasi Arturo, Debiasi dott. G.B., Francescatti Enrico, Menegoni Paolo, Salvadori Dante, Vicentini Bartolameo, Zendri Pietro, ad Avio Bonfante Bortolo, Perini Bortolo e Salvetti Anna; a Borghetto Benvenuti Carlo e Paolo; a Pilcante Brusco Cesare, Saiani Elena, Saiani Maria; a Chizzola Cipriani Enrico; a Serravalle Mutinelli Mario e Tomasi Luigi. Tutti furono subito tradotti nel campo di concentramento di Katzenau. La stessa sorte fu riservata ai cittadini di nazionalità italiana ("regnicoli") che per ragioni di lavoro risiedevano con le famiglie ad Ala. Successivamente si aggiunsero altri alensi: Mondini Alessandro, Pernwerth P. e Ferrari Enrico.
Il 21 maggio gli Austriaci fecero scoppiare delle mine all'Acqua Sagra e a Campagnola; interruppero così le comunicazioni stradali, i ponti sulla ferrovia e sull'Adige ad Avio e Pilcante. Entrò in vigore il coprifuoco. Lo stesso giorno gli arruolati nelle armi, i ferrovieri e tutto il personale statale lasciarono Ala e Avio. Altri vennero adibiti ai lavori nelle retrovie. Il 22 maggio un austriaco diede fuoco a molto materiale dell'Archivio Comunale di Avio. All'indomani della partenza dell'ultimo treno per il nord, la popolazione di Ala svaligiò la stazione, asportando tutto quanto poteva. Nei paesi mancavano farina, pasta e riso.
Gli Austriaci abbandonarono tutta la nostra zona e posero la loro prima linea di difesa sulla collina di San Martino ad Ala.
Il 24 maggio l'Italia dichiarò guerra all'Austria e iniziarono le operazioni belliche. La parte più meridionale della Vallagarina fu subito occupata dall'esercito italiano e la sede del comando militare fu posta nella Villa de Gresti di San Leonardo. Il 27 maggio le truppe italiane occuparono la zona da Borghetto ad Ala e il fronte si spostò più a nord, a Serravalle e a Passo Buole. Il comando italiano stabilì che gli irredenti potevano essere arruolati nell'esercito come volontari. La gente della nostra valle si trovò smembrata e divisa in un esodo senza precedenti, per dimensioni e durata. Tra il maggio e l'agosto 1915 gran parte della popolazione fu costretta ad abbandonare le proprie case: oltre agli arruolati nell'esercito austriaco (in tutto circa 60.000), circa 2000 sospetti politici furono internati a Katzenau; altri andarono volontari in Italia; molte persone, tra cui i parroci, furono arrestate e confinate in Italia o Austria (circa 40.000). I più andarono profughi nelle province asburgiche, nei campi di Braunau e Mitterndorf (70.000), dove vissero in condizioni di segregazione, miseria e mancanza d'igiene, difficoltà di ogni tipo.
Nel 1916 la guerra lampo si trasformò in logorante guerra di posizione; nel maggio la Strafexpedition ricacciò indietro l'esercito italiano fino a che, con la battaglia di Passo Buole, l'avanzata tedesca fu fermata e il fronte si stabilì sulla linea della Vallarsa e sul Pasubio. Su queste montagne tra maggio e luglio morirono 147.730 italiani e 82.815 austriaci. Dopo altri due anni di guerra, il 3 novembre 1918 Trento fu conquistata e venne firmato l'armistizio.
Il dopoguerra fu particolarmente difficile, il ritorno dei profughi fu lento; molti trentini, soprattutto nella così detta "zona nera" meridionale, non trovarono più la casa e dovettero essere ricoverati in baracche. I danni di guerra erano enormi; l'opera di ricostruzione fu lenta e bloccata da mille difficoltà organizzative; la corona austriaca venne svalutata, creando scontento tra chi aveva qualche risparmio da parte; le campagne erano distrutte e così ogni altra attività era interrotta; c'era grande povertà e disoccupazione; si diffusero malattie, tra cui la pellagra. Si alzarono numerose le proteste e le critiche al governo italiano.
Passarono diversi anni prima che la valle iniziasse una vita normale: poi si aprì qualche spiraglio in ambito economico, con la ripresa dell'agricoltura e la nascita di una produzione orto-frutticola, la costruzione nel 1924 ad Ala della Filanda Danese, proveniente da Bussolengo, che occupò diversa manodopera femminile; l'apertura di alcune macere tabacchi, la fabbrica di sedie Badano ad Ala nel 1929, l'apertura della Montecatini di Mori poco dopo. Negli anni '40 venne fondato ad Avio il Consorzio irriguo e la filiale della C.R. di Ala (1939).
Le Casse Rurali aiutarono la ripresa dell'economia, ma negli anni trenta la crisi a livello mondiale giunse anche da noi, provocando la chiusura della Cassa di Avio e la rovina di molti risparmiatori. Resistettero invece quella di Borghetto, fondata nel 1924 e quella di Ala. Con la crisi diminuirono la produzione dei bozzoli e l'allevamento del bestiame, aumentarono i prezzi dei principali prodotti, come il vino, la seta, il bestiame e il legname. Molte industrie chiusero, come la Montecatini di Mori nel 1933 (anche per i danni provocati alla salute di campi e uomini ). Iniziò una nuova fase di consistente decremento demografico e una conseguente nuova esplosione del fenomeno migratorio. La prima guerra mondiale pose fine ad un periodo di espansione economica e demografica che aveva investito Ala e il suo territorio. Ricongiunto il Trentino con l'Italia ed eliminata la stazione internazionale, venne a mancare il supporto su cui si era sostenuta negli ultimi sessanta anni la vita economica e commerciale. La guerra, oltre a lasciare crisi e disoccupazione, diede inizio ad un periodo di decadenza anche culturale ed economica.
Il fascismo non ebbe all'inizio molto seguito nel Trentino, perchè estraneo alla mentalità della gente; i primi episodi di violenza e di prepotenza avvennero nel 1920/21, soprattutto nell'Alto Adige, dove ferveva un movimento di scontento per la soluzione della guerra e si chiedeva l'unione con la Germania. I fascisti, sconfitti alle elezioni del 1921, passarono ai metodi violenti dello squadrismo; nel 1922 furono occupate le scuole elementari e altri uffici a Bolzano, il palazzo del Governo e quello della Giunta Provinciale a Trento. Furono italianizzati i nomi tedeschi e la dottrina fascista venne applicata in modo rigido, per contrastare la secolare tradizione di autonomia. L'avanzata del fascismo continuò, con l'insediamento nel 1926 dei podestà nei Comuni. Nel '31 vennero sciolte le organizzazioni giovanili e occupati gli oratori cattolici. I trentini subirono per lo più il fascismo come qualcosa di imposto e lo contrastarono; prima la stampa, poi le organizzazioni cattoliche, poi i Consorzi Cooperativi, infine i singoli cittadini furono messi a tacere. La nomina dei podestà garantì il controllo politico delle amministrazioni e tutta una serie di nuovi organismi fascisti pose sotto stretto controllo ogni aspetto della vita e del lavoro.
Nel 1928 fu avviata una grossa riforma, con la soppressione dei comuni più piccoli e l'accentramento delle funzioni amministrative nei capoluoghi; la "grande Ala" assorbì quindi i comuni vicini, che divennero frazioni. Così avvenne ad Avio. I centri storici non subirono in quel periodo sostanziali mutamenti, se non la ristrutturazione ed il restauro di alcuni edifici; ad Ala fu restaurata la chiesa parrocchiale, lesionata gravemente da una bomba nel 1916, e ristrutturato il teatro sociale.
Il secondo conflitto mondiale provocò un altro grosso sconvolgimento generale; con il passare degli anni di guerra aumentarono i disagi, la stanchezza e l'opposizione al fascismo. La caduta di Mussolini (25 luglio '43) fu salutata in tutto il Trentino con manifestazioni antifasciste. Con l'armistizio dell'8 settembre iniziò però il periodo più difficile della guerra; i soldati tedeschi assaltarono le caserme, uccisero o deportarono molti soldati nei campi di concentramento in Germania; crearono una zona di operazione sotto in diretto controllo tedesco, l'Alpenvorland, che comprendeva le Prealpi con Bolzano, Trento, Belluno. Iniziò per il Trentino un'occupazione non solo militare, ma anche amministrativa ed economica, con un controllo severissimo del territorio e dei confini. A tutto ciò si aggiunsero i bombardamenti degli alleati, che fecero sfollare la popolazione dai centri abitati; molti si rifugiarono nei masi sulle pendici delle montagne attorno ad Ala, oppure in rifugi provvisori, al riparo delle rocce, lungo il torrente Aviana.
In questo ultimo periodo di guerra la popolazione, non solo costituì forme organizzate di resistenza, ma spesso si prodigò in modo personale in numerosi episodi di solidarietà; ad esempio c'era chi si recava presso i vagoni dei treni diretti ai campi di concentramento in Germania, che sostavano alla stazione di Ala, e raccoglievano i messaggi dei prigionieri, mettendosi poi in contatto con le loro famiglie. Tra il materiale del Museo Civico "L. Dalla Laita" esistono diverse testimonianze di questa "corrispondenza minore".
Più conosciuto è l'episodio di don Domenico Mercante, parroco di Giazza, catturato da una pattuglia di SS durante la ritirata e condotto attraverso la Valle di Ronchi ad Ala; qui, nella località S. Martino, il comandante tedesco decise di liberarsene e ordinò di fucilarlo; ma un soldato rifiutò, come cattolico, di sparare al sacerdote e venne allora ucciso assieme a lui.
Nell'immediato dopoguerra tornarono in primo piano le questioni relative ai confini, all'autonomia, ai rapporti con l'Austria e alla difesa delle minoranze. L'Alto Adige rivendicava la parità della lingua tedesca e l'uguaglianza dei diritti per l'ammissione ai pubblici uffici. Dopo anni di lavoro e di consultazioni, il 29 gennaio 1948 venne approvato lo Statuto speciale per la Regione Trentino Alto-Adige, rinnovato nel 1972.
Il secondo dopoguerra fu contrassegnato da un severo programma di ricostruzione, che dava la precedenza alle strutture di maggiore utilità; fu vietata in un primo momento la costruzione di nuovi edifici, che non fossero di utilità economica, come ad esempio i magazzini per prodotti agricoli o le case rurali. Le disposizioni limitative durarono poco e già dal 1946 la proibizione riguardò solo le costruzioni di lusso; in vista del ritorno alla normalità, si considerò la necessità di predisporre un piano regolatore. La situazione economica era precaria e molti, anche in questo secondo dopoguerra, furono costretti ad emigrare. La gelsibachicoltuta e l'agricoltura tradizionale erano definitivamente tramontate; si dovevano impostare in modo nuovo le basi dell'economia. Le amministrazioni comunali degli anni Cinquanta e Sessanta puntarono sull'industria e cercarono contatti con imprenditori, per portare nella valle alcune aziende. Si ricostituirono le associazioni economiche e culturali, vennero aperte officine e aziende, che contribuirono alla ripresa economica e alla ricostruzione: nel 1950 le officine Slanzi, la Cartiera Valladige, la Centrale Elettrica di Campagnola, nel 1957 la Cantina sociale di Avio e nel 1959 quelle di Ala e Serravalle.
In questi ultimi decenni si sono realizzate trasformazioni consistenti e generalizzate a livello territoriale ed urbano, che hanno reso quasi irriconoscibili i luoghi della storia, i paesaggi rurali, i centri abitati, le antiche vie di comunicazione; basti pensare al sorgere di numerose strutture produttive e di nuove zone residenziali alla periferia dei centri storici, alla radicale trasformazione dell'organizzazione del territorio, conseguente alla costruzione del canale Biffis e dell'autostrada.
I centri storici cessarono di essere perni della vita comunitaria e delle attività economiche, spopolandosi e cadendo in uno stato di abbandono; la corsa al benessere e la voglia di dimenticare un passato difficile hanno contribuito negli anni Cinquanta a cancellare alcune importanti testimonianze del passato.
In questi ultimi anni, conquistato ormai il benessere economico e sociale, è iniziato un nuovo periodo, di attenzione all'ambiente, di recupero dei centri storici, di valorizzazione del patrimonio storico locale; la gente ristruttura e torna ad abitare le vecchie case, i centri storici si stanno ripopolando; ogni comune lavora per la far rivivere le tradizioni e per recuperare le proprie radici.
Importante ricordare la figura e l'opera di Italo Coser e di Giovanni Libera, due personaggi che ad Ala e ad Avio, in un momento in cui tutto era rivolto al nuovo, hanno posto le basi per la riscoperta del passato. Il maestro Coser, nato nel 1910, è da ricordare soprattutto per la rifondazione negli anni 50 della Biblioteca Civica (primo fondatore ne era stato nel 1873 G.B. Pizzini), riaperta al pubblico nella casa Dalla Laita, assieme ad un piccolo museo; ma anche per aver acquisito da varie famiglie opere antiche e per aver riordinato i manoscritti del Fondo Pizzini, ricchissimi di documentazione storica sulla città di Ala; infine per aver fondato nel 1957 la rivista "I quattro Vicariati". In quest'ultima impresa il Coser si trovò a collaborare con Giovanni Libera, primo sindaco di Avio dopo la guerra, animatore della ricostruzione e della rinascita dell'agricoltura, grande appassionato e ricercatore di storia locale.
Fonti:
Erica Mondini Scienza - Ala
Numero speciale dei " I Quattro Vicariati" stampato in occasione del 25° anno di fondazione
I nomi locali dei comuni di Ala, Avio a cura di Lidia Flöss, Provincia autonoma di Trento - Servizio Beni librari e archivistici.